A cosa servono i contratti on line? solo a rispettare la legge? per me a qualcosa di più. Io ci credo sul serio
Quando si è trattato di creare il profilo dello studio Iusgate ho scritto due righe sulla personalizzazione dei contratti o, per dirla nella maniera preferita dagli avvocati d’affari e d’impresa, sui contratti tailor made, vale a dire sui contratti tagliati su misura per il cliente e non standardizzati, ossia, nella migliore delle ipotesi, lievemente modificati rispetto ai modelli elaborati nel corso del tempo dallo studio legale. Ho già scritto che la domanda a mio avviso non è cosa vuole il cliente ma chi è il cliente.
Vedo di sviluppare il tema, perché non mi piace dare l’impressione di parlare per slogan.
La personalizzazione del contratto contempla l’intervento su determinate clausole del contratto, con integrazioni o modifiche richieste da diversi elementi generali, quali i rapporti tra le parti, e da esigenze specifiche, quali, in particolare, l’oggetto del contratto, le obbligazioni a carico delle parti, le garanzie in caso di inadempimento, la durata, ecc..
Che il contratto debba essere personalizzato appare evidente e, giustamente, il cliente lo considera talmente scontato da ritenere la relativa assicurazione quasi offensiva (come quando fuori dai negozi compare la scritta “entrata gratuita” o l’artigiano pubblicizza il “preventivo gratuito”).
Cosa può/dovrebbe significare allora realmente la personalizzazione del contratto?
La risposta mi è venuta ragionando sui contratti che per eccellenza rappresentano il documento a maggiore diffusione dell’impresa: le condizioni generali di vendita, tanto più se destinate all’impresa che fa e-commerce B2B o B2C.
Ecco la ragione per cui credo che il punto sia non cosa fa, ma chi è l’imprenditore. Proprio perché on line le reticenze/omissioni emergono agevolmente e on line l’identificazione quello che dici e come lo dici=quello che sei, è immediata e duratura.
Sono convinto pertanto che proprio per i documenti, le avvertenze, i messaggi e le condizioni destinati all’ambiente telematico l’avvocato sia chiamato a fare uno sforzo tipicamente linguistico poco congeniale alla propria natura (e alla proverbiale punta di superiorità con cui tratta l’imprenditore): di scrivere documenti cercando di parlare come parla l’imprenditore e soprattutto considerando che, per quanto non costituisce il successo di un sito di commercio elettronico, il documento legale più di altri elementi/aspetti contribuisce a determinare e rafforzare nel bene e nel male l’immagine e la reputazione dell’imprenditore e quello che chiamiamo buon nome commerciale.
In conclusione, cosa implica quello che ho scritto? La regola della c?:
Creatività, sia come contenuto dei documenti sia come sforzo di utilizzare modi diversi per dire le stesse cose, ad esempio utilizzando il sistema delle domande/risposte per le condizioni generali e per l’informativa privacy (ricordate le “vecchie” FAQ, ancora oggi utilizzate per spiegare come funziona il sito, come farsi spedire la merce, ecc.?). Anche perché, specie on line, andiamo verso una parcellizzazione e dispersione dei contenuti legali in pagine e strumenti diversi (pop up, messaggi email, forma, ecc.).
Consapevolezza, è importante che l’avvocato non dimentichi, ad esempio, il diritto di recesso, ma ancora più che quel diritto di recesso lo esponga evitando di riferirmi allo ius poenitendi … a meno che il sito non sia per appassionati di latino.
Condivisione, come lavoro in team e partecipazione al progetto insieme a esperti con i quali normalmente l’avvocato non si confronta e dai quali, tanto meno, accetta di farsi revisionare i documenti, in particolare coloro che si occupano di webmarketing e di comunicazione.
In definiva, distorcendo un po’ la ben nota nozione di McLuhan: è ora che l’avvocato si convinca che il contratto on line è il messaggio.
Mi fa piacere se mi scrivi. In privato, sarà fuori moda ma a me piace così