Giustizia a tutti i costi? vita di von Kleist e vita di Kohlaas
Il motto dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo (quello che successe al fratello Carlo V) riassume icasticamente il moderno dramma della giustizia: quello di Michael Kohlhaas, nato dalle mente, ma forse più ancora dalle pulsioni istintive, di Heinrich von Kleist (1777-1811), lo scrittore che più ha sondato gli abissi del concetto di giustizia, fino a rimanerne inghiottito.
Un uomo come von Kleist non riesco ad immaginarmelo se non nel pieno del sovvertimento dell’Europa, tra la fine della monarchia in Francia e la fine delle guerre napoleoniche: insofferente alle gerarchie dell’esercito prussiano – ma per sette anni ne fece parte nelle guerre contro la Francia rivoluzionaria (questo me lo rende particolarmente simpatico) – refrattario alla carriera nella nascente amministrazione prussiana, prigioniero dei francesi, nazionalista, per pochi mesi direttore del quotidiano Die Berliner Abendblätter – che per la prima volta pubblicava le notizie tratte dai comunicati della polizia – continuamente irrequieto e alla ricerca di pace o, forse, di dare un senso e una direzione alla vita, che purtroppo troverà solo per porvi termine.
Per me l’irrequietezza di Kleist denuncia la consapevolezza del cosmico e atemporale conflitto tra legge naturale e legge sociale, che si riverbera nella produzione sia teatrale che letteraria: nei drammi (Pentesilea, 1808; Caterina di Heilbronn, 1810; Il principe di Homburg, 1810); nelle commedie (La brocca rotta, 1806; Anfitrione, 1807) e nei racconti (Il terremoto in Cile 1806; La marchesa di O. 1808).
Nelle sue opere la sete di giustizia genera lacerazioni e provoca deflagrazioni di sentimenti e reazioni nella persona e quindi nella società. I suoi personaggi sembrano incarnazioni di eccessi e paradossi letterari ma non sono idealtipi, sono espressione tangibile di un dramma che viviamo quotidianamente e ci dicono che o c’è troppa giustizia o non ve n’è affatto.
Piachi, il protagonista del racconto Il trovatello, maledice “la legge disumana che non voleva farlo andare all’Inferno” per avere finalmente la sua vendetta, Federico, il protagonista del racconto Il duello, si dispera perché è causa della condanna di un’innocente “è appunto questo che mi getta, me infelice, nella disperazione! La verga della giustizia è stata spezzata su di lei, come su di una colpevole; e io, che volevo provare davanti al mondo la sua virtù e la sua innocenza, sono colui che l’ha gettata nella miseria: un irreparabile inciampo nella cinghia degli speroni, con il quale Dio, forse, ha voluto punirmi per i peccati che racchiudo nel petto, del tutto indipendentemente dalla sua causa, abbandona le sue membra fiorenti alle fiamme, e la sua memoria a un’eterna vergogna!”.
Concentrato dei temi a lui cari è il romanzo breve Michael Kohlhaas (1810), il cui omonimo protagonista è reso brigante ed assassino per senso di giustizia: vittima di un sopruso non ottiene giustizia e mette a ferro e fuoco il territorio della Germania del cinquecento sino al patibolo che chiude la sua epopea ma non risolve certo il dramma. È stato di recente portato sulle scene teatrali e televisive italiane da Marco Baliani (spettacolo straordinario, difficile pretendere di più da un interprete) ed è al festival di Cannes 2013 nella trasposizione del regista Arnaud des Pallières (spero che il film sia all’altezza).
Ho una particolare predilezione per von Kleist, ma confesso che avrei voluto (e forse anche lui), che fosse morto in battaglia, come Luigi Ferdinando di Prussia (praticamente suo coevo, 1772-1806), alla testa e primo fra i suoi uomini, in una delle tante battaglie contro Napoleone.
Mi fa piacere se mi scrivi. In privato, sarà fuori moda ma a me piace così